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di Marino Grimani
Presidente della Camera di Commercio di Venezia


  Per dirla con Manlio Pertempi nel suo Le Camere di Commercio Industria e Agricoltura, “non vi è trattazione sulle Camere di commercio che non inizi con un accenno sulle più antiche forme associative delle categorie produttrici”. Il riferimento è ai “Collegia opificium, mercatorum, etc.” romani, esistenti fin dal periodo della Repubblica, e soprattutto alle Corporazioni dell’epoca dei Comuni.
  Le Corporazioni, o Società delle Arti, sorsero dapprima fra gli esercenti di una stessa arte o mercatura – è controverso se la primogenitura spetti ai mercanti o, come pare più probabile, agli artigiani - per la spontanea necessità di tutela degli interessi individuali e di categoria, non potendo essere tutelati da uno Stato ancora privo di organi adatti a tale funzione: sulla loro formazione deve aver influito l’esempio delle Gilde germaniche. Gli organi generalmente erano costituiti dall’Assemblea che aveva normalmente l’incarico di nominare e designare i funzionari, approvare gli statuti e deliberare l’ammissione di nuovi soci; dal Consiglio, con funzioni consultive, e dai Consoli o Ministrali, che rappresentavano l’organo direttivo ed esecutivo.
  Queste primordiali antenate degli Enti camerali, come risulta dai loro statuti, prezioso specchio della vita economica e politica del tempo, esercitavano importanti funzioni politiche, esecutive e giudiziarie: la tutela della dignità della Corporazione; la protezione dei mercanti da ogni offesa reale e personale; la cooperazione con i magistrati civili per la sicurezza delle strade commerciali; l’amministrazione del patrimonio della Corporazione; la vigilanza sui prezzi e sulle misure; la tutela dei marchi di fabbrica o di commercio; il giudizio in prima istanza sulle controversie tra mercanti; il compito di far eseguire le sentenze… Inoltre, la Società svolgeva nei riguardi dei soci funzioni creditizie e stabiliva obblighi di mutua assistenza tra i soci stessi.
  “Le Corporazioni di arti e mestieri impressero una benefica influenza nella vita dei liberi Comuni partecipando direttamente al governo della cosa pubblica; successivamente il medesimo spirito associativo, che aveva condotto nel comune interesse gli artigiani e i mercanti a raggrupparsi nelle Corporazioni, portò le stesse a confederarsi in Università” scrive Remo Fricano, nel suo Le Camere di Commercio in Italia. Università che ebbero funzioni pubbliche ancora più rilevanti di quelle esercitate dalle singole Corporazioni: vigilanza su alcuni servizi pubblici connessi al traffico e ai trasporti, sorveglianza dei mercati e delle fiere e sull’opera dei sensali, controllo di pesi e misure.
  Il declino delle Corporazioni, che si estinsero alla fine del ‘700, cominciò a manifestarsi a partire dal XVI secolo per un insieme di fattori riconducibili essenzialmente all’affermazione delle Signorie e degli Stati dell’era moderna. Questi tendevano infatti a liberarsi dai vincoli che intralciavano il potere centrale, “nel quadro dell’evoluzione economica caratterizzata dallo sviluppo di nuove industrie, dalla concorrenza internazionale e dalla diffusione di dottrine liberali propugnanti la libertà del lavoro e l’abolizione di ogni privilegio” continua Fricano.
  Non è un caso che le prime Camere di Commercio, l’organismo che sarebbe subentrato alle Corporazioni, nascano in Francia, uno dei primi grandi Stati nazionali, più precisamente a Marsiglia nel 1599, per poi essere istituite in tutte le più importanti città transalpine. Soppresse nel corso della Rivoluzione furono ricostituite con decreto consolare del 24 dicembre 1803, con carattere di generalità in tutto il territorio. Lo stesso nome di Camera di Commercio è di importazione francese: il vocabolo Camera è stato sempre usato in Francia per significare magistrature o istituzioni collegiali, mentre da noi, prima di allora, l’uso di tale denominazione era ristrettissima e comunque mai applicato ad organismi mercantili.
  In Italia la prima Camera di Commercio fu istituita a Firenze dal granduca Pietro Leopoldo il primo Febbraio 1770, altre sorsero in Lombardia nel 1786 in base a un editto di Giuseppe II.
  In realtà Venezia sarebbe potuta “arrivare prima”: il Senato della Repubblica, il 7 dicembre 1764, aveva già decretato l’istituzione della Camera di Commercio. Un’esigenza sentita dalla maggioranza degli operatori economici, “che anzi avevano reclamato il nuovo indirizzo. Essi avevano approvato la formazione della Camera di Commercio poiché in essa ravvisavano l’Istituto nel quale sarebbero confluite le nuove forze economiche – o almeno rinnovellate – che avrebbero prevalso sulle “viste particolari dei pochi mercanti” i quali operavano a danno dell’interesse nazionale” si legge ne L’Archivio storico della Camera di Commercio di Venezia a cura di Ferruccio Zago. Da un documento degli stessi Savi alla Mercanzia emerge che in quel tempo “il commercio cammina per azzardo, tutto smembrato e senz’alcuna sistematica direzione”.
  Il Senato però vincolò l’attivazione della Camera alla risoluzione di alcune problematiche sulle quali il magistrato dei Savi alla Mercanzia doveva pronunciarsi: in particolare la scelta dei rappresentanti veneti della Camera, “che fornissero quelle garanzie di rettitudine, capacità e interesse tali da tranquillizzare il Senato sulle loro possibili accondiscendenze a favore di forze straniere” si precisa nel già citato Archivio storico…, e “l’inconciliabilità dell’esistenza dei vari uffici che rivestivano attribuzioni mercantili come quello della seta, della Camera del Purgo, dei Consorzi di Egitto, di Cipro e di Soria una volta che venisse attivata la Camera. La costituzione di quest’ultima avrebbe significato la cessazione di quelli determinando, nel contempo, la fine dei particolarismi poiché molti degli interessi del commercio erano strettamente legati all’esistenza di tali organi”.
  Che gli interessi in gioco fossero forti e che le correnti contrarie non demordessero era scontato. Il Senato, influenzato da queste ultime, aveva posto i Savi dinanzi ad un out out: o avanzare proposte concrete, in armonia con l’organizzazione statale, o rinunciare alla istituzione.
  Di fronte alla loro dichiarata incapacità di conciliare gli interessi della navigazione, delle arti e delle manifatture con quelli della Dominante il Senato, il 30 luglio 1768, abrogava, dopo quattro anni di inutili sforzi e inconcludenti trattative, il decreto del 7 Dicembre: “probabilmente avvenne in politica economica e sociale quello che la Serenissima dimostrò in politica internazionale durante il XVIII secolo: l’inclinazione cioè ad acconciarsi alle situazioni e non a dominarle” si legge ancora ne L’Archivio.
  Così la fondazione ufficiale e stabile della Camera di Commercio di Venezia fu decretata il 5 Febbraio 1806 dal Governo Italico (che due anni dopo avrebbe anche attivato la Borsa) sotto il regime francese ed ebbe inizialmente giurisdizione su tutte le Province Venete. L’atto venne poi confermato dal Decreto Napoleonico 145 del 27 Giugno 1811, con il quale assieme all’istituzione di un Consiglio generale di commercio, a Milano, vennero pure stabilite le Camere di commercio arti e manifatture nei maggiori comuni, tra cui Venezia.
  Oltre alla tutela degli interessi delle varie categorie commerciali e industriali, furono loro attribuite anche funzioni pubbliche come la raccolta di notizie e dati sulla situazione economica, le proposte di premi a favore degli inventori, mansioni di giurisdizione commerciale. E’ soltanto con il provvedimento austriaco del 27 Gennaio 1816 che la giurisdizione della Camera di Commercio di Venezia, limitata alla sola città dal decreto del 1811, venne stesa a tutta la provincia.
  Raggiunta l’unità nazionale si sentì la necessità di riordinare le Camere in modo omogeneo in tutto il territorio del nuovo Stato e con legge numero 680 del 6 Luglio 1862 vennero istituite le Camere di Commercio ed arti in tutti i capoluoghi di provincia e anche in alcune sedi circondariali. Provvedimento esteso, con legge del 26 Dicembre 1867, anche ai territori uniti di recente, come appunto il Veneto.