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di Massimo Provinciali
Direttore Infrastrutture e demanio marittimo - Ministero Trasporti e Navigazione


  La crescita dei traffici marittimi e portuali è finalmente un dato consolidato, non solo a livello medio nazionale, ma anche con una distribuzione sul territorio che rende ragione di una qualche omogeneità del fenomeno.
  Si tratta di un dato molto rilevante, per una serie di motivi. Innanzi tutto, era paradossale che l’Italia, vera piattaforma protesa nel Mediterraneo dotata di oltre centoquaranta porti, rivestisse fino a qualche anno fa un ruolo di vera e propria cenerentola del settore. In secondo luogo, lo sviluppo dei traffici marittimi rappresenta un eccellente volàno per lo sviluppo delle economie locali e non solo, stanti le rilevanti ricadute in termini di produzione di occupazione e ricchezza, sia in via diretta che indotta. In terzo (ma non ultimo)luogo, lo sviluppo del trasporto via mare rappresenta un contributo fondamentale nel percorso verso la sostenibilità ambientale del sistema dei trasporti, spesso aggredita dall’indiscriminata espansione di modalità inevitabilmente inquinanti. Tra gli interventi che più significativamente stanno contribuendo a questo fenomeno, ne vanno segnalati tre: uno di ordine giuridico/istituzionale (la riforma di cui alla legge n.84 del 1994), uno di ordine politico/strategico a breve termine (il programma di investimenti straordinari dalla legge n.413 del 1998 in poi), uno di carattere politico/strategico a medio-lungo termine (il Piano generale dei trasporti). Non c’è dubbio che la riforma del 1994 abbia completamente rivoluzionato gli assetti economici ed istituziona-li all’interno dei porti, promovendo definitivamente la privatizzazione delle operazioni portuali, sotto l’egida ammini-strativa pubblica, sia per quanto riguarda la regolazione delle attività che per quanto riguarda le scelte strategiche ed i piani di sviluppo. La riforma istituzionale non poteva non considerare che il livello infrastrutturale dei nostri porti era assolutamente inadeguato a fronteggiare le esigenze che sarebbero nate dalla totale apertura ai privati dello svolgimento delle operazioni portuali. Ecco perché ai fondi ordinariamente distribuiti dal Ministero dei lavori pubblici, si sono affiancati interventi che negli ultimi cinque anni, tra leggi speciali per determinati porti ed interventi straordinari ma generalizzati, hanno disposto stanziamenti per circa 4.500 miliardi, compresi i fondi di cui alla recente legge finanziaria 2001.
  Tutto questo si muove all’interno di un disegno strategico di ampio respiro, disegnato nel PGT, dove il ruolo del trasporto marittimo trova grande rilevanza: l’obiettivo di assorbire con la modalità via mare il solo incremento di volume dei trasporti previsto per i prossimi anni viene già considerato un traguardo ambizioso, ma possibile ed anzi necessitato dalla ineludibilità di soluzioni che decongestionino le strade. La stessa opinione pubblica è ormai convinta che la formula “autostrade del mare”, tanto cara anche al Pre-sidente della Repubblica, non debba essere considerata uno slogan, ma un impegno preciso e concreto cui lavorare con convinzione nei prossimi anni. Così riassunto, sommariamente ed in maniera necessariamente limitata, il quadro d’insieme del sistema dei traffici marittimi, occorre rilevare come, fino ad ora, l’attenzione degli interventi in materia di infrastrutture portuali sia caduta prioritariamente sui porti di rilevanza nazionale sede di Autorità portuale. Tale impostazione è senz’altro coeren-te con il sistema della riforma, che ha voluto individuare nei principali porti un organismo di governo responsabile, efficiente, ben collegato con il territorio attraverso forme di rappresentanza delle comunità locali ed in grado di sviluppare programmi, strategie, interventi. Concentrare grandi investimenti nei porti sede di Autorità portuale risponde certamente all’esigenza di riequilibrare il gap infrastrutturale rispetto ad altri porti del Mediterraneo e del Nord Europa, al fine di attirare i grossi traffici mondiali, soprattutto quelli provenienti dall’estremo oriente.
  Non c’è però dubbio che si stia per aprire, per così dire, una fase due del processo di sviluppo dei traffici marittimi e portuali ed è appunto quella che fa capo al progetto delle c.d. “autostrade del mare” o, per dirla con terminologia più appropriata, al programma di sviluppo del traffico marittimo a corto raggio, dove, accanto al ruolo dei porti che, solo per comodità terminologica, possiamo definire alternativi. Una volta “catturato” il grande traffico internazionale, si pone infatti il problema di smistare i carichi così acquisiti e riversarli su strada finirebbe, paradossalmente, per aggravare il problema dei trasporti su gomma. E’ quindi necessario assicurare nel miglior modo possibile le condizioni perché si sviluppi una modalità di trasporto via mare attraverso una serie di condizioni (infrastrutturali, logistiche, fiscali, ecc.) che renda premiante il mare rispetto alla strada. All’aumento della domanda di infrastrutture portuali derivante dell’auspicato (ed avviato) aumento dei traffici, si può poi ovviamente rispondere ampliando spazi e strutture nei porti maggiori. Evidenti limiti di espansione, però, possono portare a ritenere preferibile dirottare sui porti minori quote del traffico in modo da decongestionare i primi e liberare risorse che possono essere più proficuamente utilizzate.
  Inoltre, a prescindere da questa necessità di distribuire anche via mare le merci acquisite dai grandi porti sulle quote di traffico internazionale, vi sono linee, carichi, rotte, che privilegiano comunque scali alternativi ai grandi porti nazionali, che come tutte le grandi strutture, possono presentare alcuni deficit sotto il punto di vista della flessibilità delle risorse, degli spazi, della operatività.
  Per i porti minori, quindi si profila un ruolo strategicamente fondamentale quali strutture dove:

  1. dirottare traffico dai porti maggiori al fine di liberare spazi di questi ultimi da destinare ad altri traffici;
  2. fare da capolinea marittimo per la rete di distribuzione delle maggiori quantità merci che si prevede viaggeranno via mare;
  3. consolidare l’allocazione di tipologie di traffico che già oggi preferiscono indirizzarsi su strutture più flessibili, snelle, accessibili, ben collegate con le reti stradali e ferroviarie.   A queste prospettive il sistema portuale nazionale deve predisporsi con una serie di interventi di vario tipo, naturale prosecuzione di quanto già avviato con riferimento ai porti maggiori. Si tratta in particolare di estendere alcuni investimenti anche ai porti non sede di autorità portuale e di immaginare un’evoluzione del ruolo e della struttura delle Aziende speciali per i porti istituite presso le Camere di commercio. Sotto il primo punto di vista, un segnale concreto si ha nel decreto del Ministero dei trasporti e della navigazione del 7 febbraio scorso, con il quale sono state date direttive per l’utilizzazione dei fondi messi a disposizione della legge finanziaria 2000 per le “autostrade del mare”: i finanziamenti, ammontanti ad un totale di circa 400 miliardi, saranno distribuiti anche a porti non sede di autorità portuale. Sotto il secondo profilo, verosimilmente si potrà avvviare nella prossima legislatura un percorso di revisione ragionata della legge n.84 del 1994, all’interno del quale potrà essere meglio definito il ruolo delle Aziende speciali, soprattutto enfatizzandone il ruolo di programmazione e promozione dei porti nei quali da un lato è necessaria la presenza di un ente che superi le mere funzioni di amministrazione attiva proprie delle Capitanerie di porto, dall’altro non sia sovradimensionato rispetto alla realtà locali, come potrebbe essere nel caso di una cresci-ta indiscriminata della autorità portuali.